Il “risveglio” della coscienza

C’è una sequenza centrale nel film The Truman Show, di Peter Weir (1998), che rappresenta il “risveglio della coscienza” di Truman, un “risveglio” certamente non improvviso, ma preparato da tutti i precedenti “inconvenienti” che hanno progressivamente minato la sua certezza nella realtà circostante. Infatti, dopo aver visto, tra l’altro, la moglie che incrociava le dita in una foto ricordo del matrimonio, e dopo aver sentito, per un guasto tecnico, la radio parlare solo di lui, il suo nuovo atteggiamento scettico gli permette di “vedere” quello che prima gli passava semplicemente davanti agli occhi. Alla moglie rinchiusa nell’automobile rivela la verità appena scoperta.

La nuova sensibilità “paranoica” di Truman gli permette di comprendere che la realtà sociale costruita intorno a lui è un copione che viene ripetuto tutti i giorni per quasi tutta la vita!
Ora, se nella finzione filmica (o “esperimento mentale”) il copione si rivela palesemente come un copione teatrale o cinematografico, nella nostra quotidiana realtà psico-sociale noi viviamo immersi all’interno di copioni di cui, normalmente, non conosciamo la natura di copione!
Si tratta degli inconsapevoli copioni sociali, culturali o sub-culturali, che determinano ampiamente il nostro comportamento e il nostro modo di pensare, quindi la nostra “identità”. Si tratta dei copioni con i quali ci conformiamo alla nostra società e di come ci formiamo i pregiudizi e gli stereotipi che contribuiscono alla “costruzione” di ciò che chiamiamo il nostro “io”.
Ora, secondo Hume, l’idea dell’unità e dell’identità dell’io è altamente problematica:
« … ciò che chiamiamo mente, non è altro che un fascio o collezione di percezioni differenti, unite da certe relazioni, e che si suppongono, sebbene erroneamente, dotate di una perfetta semplicità e identità» [Hume, Trattato sulla natura umana].
Questo significa che noi non abbiamo di noi stessi alcuna idea razionalmente fondata! Dal punto di vista empiristico, non c’è nessun buon motivo per affermare che quel “fascio di percezioni” sia effettivamente “mio”, cioè proprio di un “essere pensante” che chiamo “io” o (cartesianamente) res cogitans e che costituirebbe un riferimento unitario e stabile nel tempo.
In polemica con la prospettiva cartesiana, Hume, fedele al suo presupposto empiristico, contesta la stessa esistenza della nozione di “io”, che, per essere tale, dovrebbe permanere sempre identica a stessa nella mente di un uomo. Ma, osservando attentamente le nostre impressioni e idee, scopriamo che non esistono mai tutte insieme e che sono in continuo cambiamento, a volte lento e quasi impercettibile, altre volte più repentino e traumatico, come nella vicenda del trentenne Truman che verso la fine del film si trova a chiedere: «io chi sono?» 

Scena del film The Truman Show (“Io chi sono?”, sembra chiedersi Truman)

La prospettiva cartesiana non viene solo criticata, ma completamente capovolta: non è la coscienza a rendere possibili le percezioni, ma, viceversa, sono le percezioni a determinare la coscienza. Sempre nel Trattato sulla natura umana di Hume leggiamo: «La mente è una specie di teatro, dove le diverse percezioni fanno la loro apparizione, passano e ripassano, scivolano e si mescolano con un’infinita varietà di atteggiamenti e di situazioni. Né c’è, propriamente, in essa nessuna semplicità in un dato tempo, né identità in tempi differenti,qualunque sia l’inclinazione naturale che abbiamo ad immaginare quella semplicità e identità».
La metafora del “teatro” per rappresentare la mente umana si addice perfettamente alla “teatralità” dell’esistenza di Truman. Uno dei possibili significati filosofici del film può infatti riscontrarsi in ciò: così come l’identità della coscienza di Truman è stata “costruita” dal regista, grazie al coordinamento dei copioni di tutti gli attori e dell’intero set televisivo, la presunta identità della coscienza umana è solo un “costrutto” dovuto all’attività percettiva del soggetto che, vivendo immerso in un “mondo”, si forma un’idea di sé dipendente da quel mondo.
Possiamo però aggiungere che: così come Truman, grazie a certi eventi “traumatici”, entra in una crisi d’identità che gli consente di iniziare un processo di emancipazione da un mondo falso e non libero, noi, acquisendo la consapevolezza filosofica dei meccanismi che stanno alla base della costruzione del nostro “io”, possiamo eventualmente iniziare un processo auto-emancipativo dal nostro “essere gettati” in un “mondo”, prendendo le distanze, e facendo i conti, con i nostri pregiudizi, le nostre pre-comprensioni, i nostri stereotipi e i nostri atteggiamenti, regalandoci la possibilità di un’esistenza più autentica.


© Angelo Mascherpa

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