Trama del film: “Hannah Arendt”

Hannah Arendt, di Margarethe von Trotta, 2012
Nel 1961 la filosofa ebraico-tedesca Hannah Arendt si reca a Gerusalemme per assistere al processo del criminale di guerra nazista Adolf Eichmann, come reporter del periodico The New Yorker, nonostante la riluttanza del marito, il poeta e filosofo tedesco Heinrich Blücher.

H. Arendt (l’attrice B. Sukowa) mentre assiste al processo Eichmann, nel film

La Arendt si aspetta di trovarsi di fronte a un “mostro”, invece non vede che un grigio burocrate, esecutore di ordini disumani come se fossero semplici atti amministrativi, incapace di “pensare”, ovvero di riflettere criticamente sul significato umano delle proprie azioni.
Da questa esperienza la studiosa, invece di limitarsi a redigere un articolo o un reportage, scrive il famoso e controverso libro La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme (1963). La discussa tesi del testo è proprio quella secondo cui il “male” commesso da uomini come Eichmann non deriverebbe da una loro intrinseca “diabolicità” («non è così terribile, è un uomo normale!… Eichmann non è Mefistofele!», recita l’attrice Arendt/Sukowa al perplesso amico ebreo Kurt Blumefeld), ma dalla loro mediocrità intellettuale, dalla loro “rinuncia al pensiero”, che li ha resi incapaci di discernere il bene dal male!
Nell’accorata autodifesa all’Università la Arendt/Sukowa così recita:
«il male più terribile al mondo è il male commesso dai cosiddetti signor nessuno, un male commesso da uomini senza moventi, senza convinzioni, senza crudeltà… da esseri umani che si rifiutano semplicemente di essere delle persone… è questo il fenomeno della banalità del male»!
Queste riflessioni costeranno alla Arendt l’ostilità di tutti i suoi vecchi amici ebrei, sia in Israele che negli USA, il violento attacco della stampa e la contrarietà della Presidenza della sua Università, mentre il marito, la sua devota allieva tedesca Lotte Köhler e molti studenti approveranno e sosterranno la sua tesi paradossale e il suo atteggiamento critico, nella convinzione, sostenuta dalla stessa Arendt, che
«cercare di comprendere un concetto non è la stessa cosa che perdonare»!


© Angelo Mascherpa

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